domenica 3 gennaio 2016

Un passo sull'osservabilità nell'Odissea di Omero

Ma Ulisse
All’ostello reale il piè movea,
E molte cose rivolgea per l’alma,
Pria ch’ei toccasse della soglia il bronzo:
Chè d’Alcinoo magnanimo l’augusto
Palagio chiara, qual di Sole, o Luna,
Mandava luce. Dalla prima soglia
Sino al fondo correan due di massiccio
Rame pareti risplendenti, e un fregio
Di ceruleo metal girava intorno.
Porte d’òr tutte la inconcussa casa
Chiudean: s’ergean dal limitar di bronzo
Saldi stipiti argentei, ed un argenteo


Sosteneano architrave, e anello d’oro
Le porte ornava; d’ambo i lati a cui
Stavan d’argento, e d’òr vigili cani,
Fattura di Vulcan, che in lor ripose
Viscere dotte, e da vecchiezza immuni
Temperolli, e da morte, onde guardato
Fosse d’Alcinoo il glorïoso albergo.
E quanto si stendean le due pareti,
Eranvi sedie quinci e quindi affisse
Con fini pepli sovrapposti, lunga
Delle donne di Scheria opra solerte.
Qui de’ Feaci s’assideano i primi,
La mano ai cibi, ed ai licor porgendo,
Che lor metteansi ciascun giorno avante:
E la notte garzoni in oro sculti
Su piedistalli a grande arte construtti
Spargean lume con faci in su le mense.
Cinquanta il Re servono ancelle: l’une
Sotto pietra ritonda il biondo grano
Frangono; e l’altre o tesson panni, o fusi
Con la rapida man rotano assise,
Movendosi ad ognor, quali agitate
Dal vento foglie di sublime pioppo.
Splendono i drappi a maraviglia intesti,
Come se un olio d’òr su vi scorresse.


Poichè quanto i Feaci a regger navi
Gente non han, che li pareggi, tanto
Valgon tele in oprar le Feacesi,
Cui mano industre più, che all’altre donne,
Diede Minerva, e più sottile ingegno.
     Ma di fianco alla reggia un orto grande,
Quanto ponno in dì quattro arar due tori,
Stendesi, e viva siepe il cinge tutto.
Alte vi crescon verdeggianti piante,
Il pero, e il melagrano, e di vermigli
Pomi carico il melo, e col soave
Fico nettareo la canuta oliva.
Nè il frutto qui, regni la state, o il verno,
Pere, o non esce fuor: quando sì dolce
D’ogni stagione un zeffiretto spira,
Che mentre spunta l’un, l’altro matura.
Sovra la pera giovane, e su l’uva
L’uva, e la pera invecchia, e i pomi, e i fichi
Presso ai fichi, ed ai pomi. Abbarbicata
Vi lussureggia una feconda vigna,
De’ cui grappoli il Sol parte dissecca
Nel più aereo, ed aprico, e parte altrove
La man dispicca dai fogliosi tralci,
O calca il piè ne’ larghi tini: acerbe
Qua buttan l’uve i ridolenti fiori,


E di porpora là tingonsi, e d’oro.
Ma del giardino in sul confin tu vedi
D’ogni erba, e d’ogni fior sempre vestirsi
Ben culte ajuole, e scaturir due fonti,
Che non taccion giammai: l’una per tutto
Si dirama il giardino, e l’altra corre,
Passando del cortil sotto alla soglia,
Sin davanti al palagio; e a questa vanno
Gli abitanti ad attignere. Sì bella
Sede ad Alcinoo destinaro i Numi.
     Di maraviglia tacito, e sospeso
Ulisse colà stava;

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